26 aprile 2017

Gli “alberi serpente” del Pollino



In montagna non cerco più l’impresa sportiva, cerco l’emozione dell’ambiente, la grandiosità del paesaggio.
Le chiazze dei nevai e la coltre nevosa dei versanti settentrionali delle montagne ammorbidiscono la severità del paesaggio, creando uno sfolgorio di riflessi, di controluce e penombre, quasi un gioco magico di incanto. 
Esplodono i miei sogni in lancinanti battiti di cuore. Ogni istante è fonte di gioia. Qui mi prendo cura di me, di ogni giorno che passa e ritrovo la pace in un mondo sempre più inquieto.
Vivo il miraggio dei nevai luminosi, delle nuvole turbinanti, del gorgoglio di acque limpide e freschissime, presenza preziosa e viva.
Con Italo alterniamo discorsi a lungi momenti di silenzio, ogni tanto ci arrestiamo e ci abbandoniamo a scattare foto.
Ogni volta tra queste maestose montagne e spazi infiniti c’è qualcosa da scoprire o da raccontare, qualcosa di misterioso, ignoto, magico ed incantato che risponde all’esigenza dell’uomo di ricercare, fin dalla sua comparsa sulla Terra, l’immagine di sé, il senso della propria Vita. 
Ridiscendendo il Passo delle Ciavole verso il Piano di Acquafredda faggi colossali consunti da centinaia d’anni di intemperie, sembrano enormi statue di roccia.
Al Piano di Acquafredda “incontriamo” gli “Alberi Serpente” (appellativo datogli da Giorgio Braschi) dalle forme urlanti nei tronchi e rami contorti, testimoni silenziosi e depositari di mille segreti. E’ certamente un mistero questa particolarità di portamento. 
Questo fenomeno, ritengono alcuni, è da ricercare nel particolare topoclima delle doline, cioè rapidi raffreddamenti con conseguenti inversioni termiche che provocano frequenti gelate autunnali e primaverili, quest’ultime colpiscono prevalentemente le gemme apicali più esposte portandole alla morte, questo “disturbo” ripetuto nel tempo ha ostacolato il normale sviluppo di questi faggi. Altri studiosi affermano che le forme contorte di questi alberi siano dovute alla persistenza, per lunghi periodi, del peso di neve e ghiaccio sugli apici vegetativi delle piante vista l’esposizione a nord-est della dolina dove i faggi si trovano. Altri ancora avanzano l’ipotesi che l’orlo sud orientale del Piano dove vegetano gli alberi sia stato sottoposto nei secoli passati a ritorni periodici di inondazioni di masse d’acqua, provenienti dal preesistente lago, che avrebbero determinato, nella parte basale dei polloni di faggio sommersi, adattamenti del tutto irregolari. Il mistero è tutt’altro che chiarito! 
Mangiamo qualcosa immersi nel silenzio come una presenza palpabile, una profonda serenità mi inonda e tutta l’agitazione della quotidianità sociale defluisce e si disperde.
Nel primo pomeriggio cielo e montagne si confondono in un mutare di luci. Lasciamo il Piano di Acquafredda conservando nitido il sibilo del vento su una collinetta morenica, la vista maestosa delle cime intorno, il sorriso soddisfatto e felice di Italo, un attimo fugace di intimo accordo con gli elementi, la vera soddisfazione del mio andare per monti.
Al ritorno verso il Passo delle Ciavole ci imbattiamo in un malcapitato che si era perso, cercava Serra di Crispo nel posto sbagliato. Lo rimetto sulla giusta via consigliandolo che l’ora era ormai tarda e che se non si è pratici dei luoghi non è consigliabile avventurarsi, ancor peggio in solitaria.  Sul Pollino, in particolari condizioni, è molto facile perdere l’orientamento. Non riesco a farlo desistere. Lo vediamo avviarsi risalendo le morbide curve moreniche del Piano di Pollino verso la Piana del Pollino. Poi scompare alla nostra vista inghiottito dagli avvallamenti.
Poi il ritorno è fatto di silenzio, di profumo di neve e vento, ognuno perso nei suoi pensieri, rapito dai suoni della natura ma anche dai colori, dalle sue luci che tagliano e scolpiscono questo paesaggio selvaggio. 
Ancora, il gorgoglio dell’acqua dei nevai che si sciolgono, il profumo della terra umida e grassa, i canti degli uccelli, i massi giganteschi che osservano muti il nostro incedere felice, un connubio di forme e mille visioni si imprimono, fulminei, nella nostra mente. 
Nonostante i tanti anni e le molteplici avventure vissute in questi luoghi, per me è sempre come la prima volta niente ha scalfito la mia capacità di emozionarmi dinanzi a tanta bellezza. Così l’anima si libra nell’aria per farsi preghiera. 


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