Un tempo il nostro territorio esisteva e la gente
nella povertà sapeva coglierne il meglio. Un tempo il treno era l’unico mezzo
di trasporto “veloce” nelle zone interne dei nostri territori in quanto la
linea ferroviaria consentiva un vantaggio notevole rispetto alla velocità a
piedi o a cavallo, i binari rappresentavano anche
un senso di unione per rendere più superabile la cerniera di pietra tra la
Lucania e la Calabria, cerniera fatta anche di boschi, di neve, ma anche di
sogni e realtà che toglievano dall’isolamento le popolazioni dei piccoli centri
e rendevano più agevoli gli scambi commerciali specie d’inverno quando i
trasporti su gomma, soprattutto nei valichi e a Campotenese, diventavano estremamente
difficili.
Il trasporto passeggeri lungo la tratta ferroviaria
Castrovillari-Lagonegro non ebbe mai una grande domanda, il calo consistente si
ebbe con il boom economico degli anni sessanta e a differenza del trasporto
merci, fatto principalmente di legname e prodotti agricoli, che si mantenne
consistente fino alla sua dismissione, anche grazie al costo ridotto della
manodopera, fatto questo che non risultò determinante per la sua chiusura in
più la costruzione dell’autostrada SA-RC contribuì a dare il colpo di grazia
alla sua conclusione.
Col senno di poi l’abbandono e la dismissione della
ferrovia calabro-lucana fu certamente un errore, ci vollero molti anni per
costruirla e solo due anni per disfarsene a causa di una politica scellerata e
a “politicanti” che coltivavano altrettanti scellerati interessi di bottega.
Certo è che oggi l’abbandono di questa tratta
ferroviaria, oltre al grandissimo valore ingegneristico di quest’opera che
ricordiamo è fatta di gallerie elicoidali, ponti ad arcate in muratura, tratti
a cremagliera e viadotti arditi, costruiti in un’epoca in cui la forza era
affidata solo alle braccia umane, lascia l’amaro in bocca se si pensa che adesso
avrebbe potuto collegare i borghi meravigliosi del Pollino attraversando il Parco
Nazionale omonimo e collegarlo addirittura a quello della Val
d’Agri–Lagonegrese.
Per onore di cronaca nel 1980 a Morano ci fu un cenno
di attenzione verso una ferrovia già subito dimenticata ed erano trascorsi solo
due anni dalla sua chiusura, ma a tale interessamento di alcuni amministratori
locali non fece seguito la giusta attenzione della classe dirigente nazionale.
Percorrere le serpentine ardite della tratta
Morano-Campotenese ed i suoi luoghi in disuso rivelano meglio il passato di
ogni altra opera costruita dall’uomo nel mio territorio, spiegandone in modo
migliore questo nostro presente fatto da una politica di annunci e promesse da
marinai.
Tuttavia qualcosa
lentamente si muove, la tratta Morano-Castrovillari è interessata da
lavori di riqualificazione e valorizzazione del tracciato tramite la
realizzazione di un percorso “verde” ciclabile. Restano comunque azioni isolate
che rimangono fuori da un certo tipo di sistema turistico che nel nostro
territorio va creato, mi riferisco a quello dell’arco-calabro del Pollino, in
particolare alla Valle del Coscile. Un territorio autentico, quello della Valle
del Coscile, dalle grandi potenzialità storiche-culturali-paesaggistiche che
non riesce a generare modelli di vacanza e favorire competizione ed innovazione
rispetto alle classiche località turistiche balneari e non solo, poste a pochi
chilometri rispetto alla nostra zona.
L’ex tratto ferroviario Campotenese – Morano, rispetto
ad altre percorrenze della stessa linea, resiste ancora e non cede al passare
del tempo. Percorrerlo regala scorci nascosti, nuove linee che si intersecano
su panorami che tracciano confini a volte indefiniti. Altre volte, ahimè, lo
stato di degrado prende il sopravvento, sono i caselli abbandonati che un tempo
conservavano i profumi che sapevano di umano, un vissuto adesso ormai scomparso
sopraffatto dall’odore acre della muffa e dalla violenza di vandali ignoranti che
a volte distruggono più del trascorrere del tempo. Guardo il forno dove
venivano infornati i tanti pani per affrontare il lungo inverno come a
determinare una sorta di memoria di vivere lento e che mi riporta ad una
dimensione di un lento viaggiare questo mio andare che continua sul fondo
sassoso non sempre agevole, ma è capace, però, di farmi assaporare nei sensi il
territorio ed il paesaggio che percorro.
Poi le gallerie con il loro buio di pece e la luce
della mia lampada che lo squarcia, il rumore dei miei passi amplificati dentro
quelle pance nere ed in fondo la luce del giorno che lentamente arriva, non
prima di aver sentito l’odore del carbone portato dal vento e udito le gocce
che dalla volta si infrangono sui miei pensieri creando un dolce picchiettio
che non mi abbandona più lungo tutto il passaggio.
E’ una porta dimensionale la galleria, un mezzo con il
quale ci si trasferisce da una prospettiva ad un’altra, un momento di passaggio,
un tempo ed un racconto da vivere e da visitare, poi nuovi scorci che si
intersecano senza darsi fastidio, tu sempre lento come in una sorta di culla al
ritmo dell’antica ferrovia.
Questo essere qui, oggi, per tutti noi rappresenta in
un certo senso anche un recupero, un ritrovamento. Un recupero che tende a
mantenere viva la memoria storica di luoghi e toponimi, un ritrovamento di
vedute e paesaggi prima dimenticati.
Siamo qui oggi per cercare di unire e collegare
idealmente quello che un tempo è stato spezzato, in uno dei lembi più
interessanti del Mediterraneo troppo presto abbandonato e forse volutamente
dimenticato.
Alcune foto provengono da internet, fonte: Banca della Memoria – Morano Calabro
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