Ci sono terre ricche di segni, tracciati dalla
natura e dagli uomini nei secoli. Il tratto, ormai dismesso, della ex Ferrovia
Calabro – Lucana ne è un esempio, oggi diventato una tavolozza bianca su cui
disegnare tante storie.
Si tratta di un patrimonio importante fatto di
sedimi continui che si snodano nel territorio e collegano borghi e villaggi
rurali, attraverso opere d’arte - ponti, viadotti, gallerie -, stazioni e
caselli spesso di pregevole fattura e collocati in posizioni strategiche che
giacciono per gran parte abbandonati in balia della natura che piano piano se
ne riappropria e di vandali e sporcaccioni che accelerano la mano distruttiva
del tempo.
Dopo l’arrivo delle automobili e la costruzione
dell’autostrada, questi binari, forse nati già vecchi, sono diventati i segni
di un tempo perduto, dove una vegetazione folta riconquista lo spazio ma non i
segni indelebili delle linee parallele dei binari che per lunghi anni hanno
sostenuto il peso di locomotive e vagoni.
La ferrovia dimenticata può rappresentare una nuova
frontiera di turismo lento dando ai visitatori la possibilità di godere di
un’attrattiva fruibile turisticamente, aiutando il territorio ad un positivo ritorno
economico. Le potenzialità storiche-culturali-paesaggistiche ci sono tutte ma
vanno generati modelli di vacanza che innanzitutto ci permettano di
identificarci tra noi ed allo stesso tempo ci differenziano da altri siti turistici.
Non serve necessariamente la macchina fotografica,
ma la voglia di accogliere. Tra ulivi e un paesaggio frazionato in piccoli
appezzamenti, un tempo utilizzati per il sostentamento ed oggi usati per il
pascolo, tra valloni precipiti retti dalle radici di folti pini, questa è terra
che a tratti abita il cielo.
Mentre procediamo tra caselli abbandonati e
gallerie sgocciolanti d’acqua i luoghi attraversati ci raccontano il passato e
spiegano il presente, soffocati dal mito dell'alta velocità e dall'arrivare
prima a tutti i costi. Velocità contro lentezza, forse questo è lo scopo della
nostra giornata: far riscoprire affascinanti tracciati immersi nella natura e
sensibilizzare gli enti locali a favorire un recupero, riflettendo sugli errori
fatti nei decenni precedenti, quando con molta facilità furono dismessi e
soppressi chilometri di ferrovia che oggi sarebbero un prezioso strumento di
crescita turistica e sociale.
Le gallerie ci accolgono con il loro buio di pece
mentre la luce della lampada squarcia anche il rumore dei passi amplificati da
questa bocca nera, in fondo la luce del giorno che lentamente arriva, non prima
di aver sentito l’odore del carbone portato dal vento e le gocce che dalla
volta si infrangono sui nostri pensieri creando un picchiettio dolce che non ci
abbandona più lungo tutto il passaggio.
Il tracciato a tratti sembra scomparire, in realtà
si trasforma in uno stretto sentiero, avviluppato dai cespugli. Un tracciato
intitolato al silenzio ed all’incuria, purtroppo, ma dal grande valore storico
e paesaggistico.
Serve un progetto politico, turistico e sociale, ampio e
comune per recuperare innanzitutto la nostra identità perduta e sanare il
deficit di inciviltà che ancora, attanaglia i luoghi e le persone di questo
territorio. Serve un sistema funzionale e funzionante di infrastrutture, di
accoglienza e di narrazione, solo così daremo la possibilità ai visitatori di
sperimentare emozioni autentiche fatti di conoscenza, condivisione, di saperi e
sapori da portare con sé.
Questo essere qui, oggi, per me che faccio parte di
questo territorio, rappresenta in un certo senso anche un recupero, un
ritrovamento. Un recupero che tende a mantenere viva la memoria storica di
luoghi e toponimi, un ritrovamento di vedute e paesaggi prima dimenticati.
Forse c’è ancora tempo per non abbandonare tutto al
proprio destino!
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