La bellezza per
rendere deve essere preservata, valorizzata, protetta, come tutte le cose
preziose e fragili. La tutela della bellezza deve essere conciliata con le
attività umane e l’impatto dei visitatori, fermo restando che senza fruizione
si determina per lo più l’abbandono e il degrado di un territorio, e non la tutela.
Il sentiero che
conduce alla Calcinara ne è un esempio, rappresenta una parte del nostro
territorio che lentamente scompare. Eppure è un percorso suggestivo, su antichi
tratturi, all’interno della natura e della storia di questo luogo.
Non a caso il nome
Calcinara è legato al verbo “calcinare” (ridurre una pietra calcarea a calce
viva, sottoponendola ad alta temperatura) perché un tempo questo era il luogo
delle calcare o carcare, grandi fornaci, (in dialetto moranese “cavucinere”) dove venivano raccolte e
fatte cuocere le pietre per ricavarne appunto la calce.
Macchia mediterranea,
boschi di lecci, muretti a secco, carcare abbandonate, vecchie teleferiche,
tracce di lupi, di cinghiali, di istrici e caprioli, boschi di faggi,
un’emozionante scoperta di tasselli che compongono un incredibile mosaico.
Narrare quello che ci
appartiene è l’unica speranza per prendere coscienza della grande risorsa che
abbiamo a disposizione ma soprattutto per riscoprire la nostra identità.
I visitatori rimangono
stupiti dalla bellezza di questo paesaggio nonostante negli ultimi anni sia stato
sempre più violentato, ma restano anche annichiliti dall’incuria e dalla
disorganizzazione che lo caratterizza. Se si getta la spazzatura per strada ed i
vicoli e le case sono abbandonate questo indigna il visitatore ma avvilisce
progressivamente anche chi ci vive.
Cosa unisce davvero
noi moranesi? Cosa ci permette di identificarci? Quale progetto turistico
condividiamo?
Chi è partito si porta
dentro, nel profondo del proprio cuore, ogni ricordo legato alla sua terra,
perché è esso stesso il prodotto di questa terra, la somma del passato, anche
di diverse generazioni, la somma delle esperienze e dei sogni che ognuno ha
avuto da bambino.
Per chi se n'è andato,
abbandonando affetti e cose, la propria terra non rappresenta più un luogo
geografico, bensì un luogo dell’anima, sono le presenze-assenze di vicoli non
più percorsi, di voci mai più sentite, di profumi e suoni mai dimenticati.
Suggestioni che sbucano ovunque, nel vissuto di chi almeno una volta le ha
provate o semplicemente sentite raccontare, di chi almeno una volta ne ha
respirato l’aria tingendosi l’anima di una tavolozza di emozioni. E più lontano
vai, più persone conosci, più fai esperienze e più senti il bisogno, a volte impossibile, di
ritornare al tuo paese, ad una vita certo difficile ma più semplice e bella.
Sensazioni sono anche
quelle dei visitatori che scoprono la mia terra dopo aver assaggiato il
formaggio di Pinuccio, dopo essersi nutriti dei sapori della cucina di Renato e
della gentilezza e professionalità di Tonino. Dalla personalità di questi
pittori del territorio, musici dell’accoglienza, interpreti di una partitura
che avvicina per svelarsi e regalare incontri bisogna costruire un turismo del
viaggio, quello che dedica il suo tempo alla scoperta ed all’incontro con le persone e con i
luoghi, traendo ricchezza da questo contatto e scambio reciproco.
Sarò pure un sognatore,
ma ancorato alla realtà, che a volte sente il bisogno di alzarsi, osservare
dall’alto dove potrebbe atterrare il mio sogno, quale la direzione favorevole
per raggiungerlo, anche se credo che forse non mi basterà questa vita, sono comunque
contento di aver visto il sentiero e capito che la direzione è giusta.
E’ compito di ciascuno
di noi nutrire questa filiera di emozioni e valori e mutarli in sensazioni,
esperienze, memoria.
Accoglienza, rispetto,
organizzazione, cortesia, identità, a volte basta poco per cominciare. A volte
sarebbe bello ritrovarli anche nei residenti.
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