14 febbraio 2017

Abitare se stessi



Diventiamo quello che siamo col passare del tempo, con l’adattamento e la capacità di saper affrontare le prove della vita. Più passano gli anni e più cambia il modo di affrontare le mie solitarie.
Durante la preparazione adesso è come se qualcosa mi tenesse legato. Credo sia la responsabilità verso i miei figli e Cesira. Questo andare da solo per montagne è una porta che adesso lascio socchiusa. E pensare che un tempo la chiudevo completamente dietro di me. Forse perché quando si è giovani non si considera mai l’ipotesi di morire. 
Pochi passi è sono già dentro al bosco sul crinale sud occidentale di Coppola di Paola. Una cima minore del Parco Nazionale del Pollino (1919 metri) ma dal grande fascino e soprattutto molto panoramica dal versante da cui sto salendo. Infatti la cresta sud occidentale, rude e solitaria, la rende bene per l’escursionismo invernale.
Ho dimenticato il telefono a casa. Sono tornato indietro di 20 anni. Ma questo non mi pesa. Mi chiedo cosa penserà Cesira vedendo il cellulare lasciato sul comodino.
In silenzio entro in sintonia con la mia anima. La montagna in solitaria regala emozioni e sensazioni uniche, accanto solo a me stesso, insieme ai miei pensieri più profondi, responsabile solo delle mie scelte.
Raccolgo emozioni ad ogni passo, preso da pulsioni che fanno vibrare gli organi interni del mio involucro umano.
Non ho niente da insegnare agli altri. Affronto le mie paure consapevole dei miei limiti, rispettoso della montagna e senza nessuna pretesa di conquista. Cerco solo me stesso dentro la natura.
La nebbia mi drappeggia accanto. Poi mi inghiotte. Fluttuo in questo oceano di bianco insondabile, vengo sciolto dalla terra e consumato da mille stimoli olfattivi e visivi. 
La vetta oggi non è una liberazione. La liberazione oggi sono le soste che mi danno la possibilità di dissetare il senso della mia avventura, forse uno dei regali più belli di questo andare in solitudine per montagne.
Divento parte di questa montagna come lei era diventata parte di me tanti anni addietro a pochi mesi dalla nascita di mio figlio ed ancora molto prima all’inizio di un amore consumato troppo in fretta. Tengo vivo ogni volta il mio patrimonio di ricordi ed immagini, emozioni credute sepolte per sempre riaffiorano con prepotenza dentro di me.
Afferro il mio coraggio tra sogni fatti di luce, nebbia, neve e vento.
Gli ultimi passi e poi mi inghiotte il cielo. La vetta un piccolo spazio sospeso, una celeste regione dello spirito. Nessun pubblico, nessuno applauso. Solo il rumore del vento, quello che cercavo.
Sul punto più alto della montagna ripeto “l’eterno riposo”, un paradiso di anime mi vaga accanto con le loro voci, i loro ricordi.
Le racchette dietro di me lasciano fragili tracce mentre scivolo libero sul pendio orientale della montagna.
Un mare di nubi, poi alcuni bagliori di luce rendono profondissimo un bosco dai tronchi incrostati di neve. Emozioni intense, irripetibili, fremiti che sgorgano dal cuore della natura.
La solitudine in montagna è una forza che può annientarti se si scatena in modo inaspettato, ma se cercata è qualcosa che può aprirti nuovi orizzonti. Ogni volta mi permette di consolidare un legame profondo con me stesso e con le persone che amo e che abitano dentro di me. Ogni volta mi permettere di vivere la montagna come se ne facessi parte, ricercando quello che di ancestrale abita in me, incantato a guardare le nuvole che mi sfilano accanto. 
Adesso le emozioni hanno un sempre.

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