Quando ci fermiamo il silenzio penetra i nostri
sensi mentre raggi obliqui, oro e arancio, filtrati dai rami, fanno risplendere
tronchi ricoperti di fitti licheni.
Il nostro andare è uno struscio di foglie mentre
ogni tanto scorgiamo in alto la caducità della vita, ora gialla ora rossa,
ancora appesa ai rami che rincorrono il cielo. Piano i nostri passi ci portano
alla meta.
Il “Patriarca” è imponente, si erge da una rupe
rocciosa come un gigantesco “pastore arboreo” a guardia della faggeta
sottostante del Bosco Pollinello. Sta lì come una creatura magica, ferma in
quel luogo a scontare chissà quale incantesimo, forse quello di un volo
pietrificato con le “braccia” verso il cielo, forse come noi uomini di montagna
che aspiriamo alla cima solo per guardare l’orizzonte ed il suo paesaggio. Questa
è terra dove ogni cosa è legata insieme come i grani di un rosario. Questa
terra è la mia chiesa.
Il sole ci cammina accanto mentre ci lasciamo alle
spalle la Serra del Pollinello, il respiro si fa sempre più affannoso rompendo
la calma del mistero che insieme viviamo come catapultati in un universo
estraneo ma accogliente, così al tramonto le pietre trattengono i raggi del
sole e quando ci infiliamo nel bosco le voci vere della montagna ci offrono
sogni da raccogliere come frutti maturi e nuove mete da vivere e progettare, perché
l’età è solo un dato anagrafico.
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