E’ da un po’ di tempo
che mi addormento sul divano. Da quando Cesira ha staccato la spina alla mia
amata abat-jour sostituendola con una radiosveglia che solo lei riesce a far
funzionare. Mi piace leggere prima di addormentarmi e per avere un po’ di luce
soffusa ho ripiegato su una bella piantana di nove euro comprata all’Emmezeta
che fa la sua bella figura all’angolo della cucina dietro il divano.
Mi ero addormentato sul divano la notte di venerdì 26 ottobre, questa volta ero riuscito a spegnere la televisione e la luce quando alle 01:05 la casa ha iniziato a tremare, dapprima un tremolio leggero poi sempre più forte tanto da farmi pensare: “questa volta è finita”, ma nei pochi secondi che scalzo percorrevo il corridoio, l’unico pensiero era raggiungere i miei figli che dormivano insieme a Cesira nella nostra camera da letto, erano passati forse cinque al massimo otto interminabili secondi quando aprii la stanza da letto per vedere se era tutto a posto.
Tirai un sospiro di
sollievo nel vedere che quei due angioletti dormivano ignari del pericolo che
avevano corso. Il chiarore che entrava dai vetri della finestra mi restituivano
il volto di Cesira attonito e spaventato, aveva le mani al petto, il cuore
aveva accelerato i suoi battiti. Non c’era elettricità, forse solo nella mia
casa pensai, ritornai a controllare l’interruttore generale, poi capii affacciandomi
dal balcone che l’elettricità mancava in tutto il circondario e che non
albeggiava affatto come in un primo momento avevo pensato, ma che era ancora
notte fonda, una notte che veniva squarciata dal chiarore della luna.
Mentre con la lampada
frontale verificavo se la struttura dell’abitazione aveva subito lesioni un
gran via vai di persone scendevano lungo le scale apprestandosi a lasciare il
condominio. Sentivo le macchine che partivano e le voci agitate che piano piano
diminuivano sino a spegnersi nel silenzio e nel buio della notte. Mi vestii e
tornai a guardare i volti dei miei figli, rimanemmo soli, mi feci coraggio dividendo
la paura con Cesira che dopo un po’ arrivata l’elettricità tornò a dormire.
Ero abituato a vedere i
terremotati alla televisione, mi sembravano anni luce distanti da me, ora che
sono io un terremotato, un terremotato fortunato rispetto a chi non può tornare
nella propria abitazione perché inagibile, mi rendo conto di come le distanze
si azzerino quando si condividono le stesse angosce, lo stesso disagio e la
stessa sofferenza.
Guardo il volto dei
miei figli, inconsapevoli, innocenti. Sono impotente, so come padre che contro
tutto questo non posso nulla. Dai vetri della finestra il chiarore della luna
squarcia le tenebre come fili sottili di ragno. La loro bianchissima pelle
sembra soffice neve che sbuca dalle coperte. Non è il terremoto che uccide ma
quello che ti cade addosso. Perché nella vita ci sono scosse che abbiamo
affrontato ed altre ancora da sostenere. Ci sono terremoti che ti crollano addosso
senza colpirti e da cui, molte volte, fai difficoltà a rialzarti. Ma questo
terremoto, quello della terra che trema, porta lo stesso sentimento nel cuore e
nell’animo di tutti, nell’attimo del tremolio del pavimento diventiamo tutti
fratelli, tutti a
dividerci uno spicchio della stessa paura, il vuoto attorno
di una stanza. Perché il terremoto della terra che trema ci unisce, ci attacca
tutti alla stessa vita.
Questo terremoto ha
messo a nudo l’arretratezza e la fragilità di paesi-presepe antichi e
abbandonati, dove piani regolatori, piani di fabbricazione, piani dei sindaci e
piani strutturali chiamateli come volete, non sono riusciti e non riusciranno,
a preservare la bellezza e a tutelare la vita di chi vi abita, ma solo a
rendere salate le parcelle agli amici degli amici, oleare il malaffare e la cattiva
amministrazione. Piani che premiano le costruzioni ex-novo a discapito del recupero
e del restauro, l’unica via possibile per il futuro dell’edilizia.
In questa mia amara
terra è mancata in tutti questi anni la lungimiranza e la capacità culturale, unita
ad una certa miopia amministrativa che ha ignorato il valore del preesistente
non facendo nulla per prevenire le crepe ai nostri monumenti storici,
architettonici e culturali, crepe create ancor prima dal terremoto dallo
scorrere inesorabile del tempo.
Doveva arrivare questo
sisma per “trasformare” quest’area geografica in un unico spazio che porta,
così come dovrebbe essere, lo stesso nome: Pollino. Il terremoto ha unito
quello che gli uomini avevano diviso a causa del campanilismo e dell’individualismo
che negli ultimi decenni ha caratterizzato il popolo del Pollino.
No, non è il terremoto
che uccide in questa terra dove le certezze sono crollate da tempo, ma l’indifferenza
di chi vi vive che sa ma non vede. E’ grazie
al mio sudore, ai miei sacrifici, alle mie rinunce ed anche alla mia rabbia di
calabrese oppresso ed emarginato dalla politica delle passerelle e degli
annunci, delle promesse che non sono e non saranno mai mantenute che ai crolli
continuo a far resistere i ricordi ed i miei progetti.
Ecco un’altra scossa, ti
mangia la testa, senti la nausea come su una barca in balia del mare, ma il
mare non c’è, c’è solo il vuoto di una stanza...ed io resisto, perchè questa è la mia terra...
FOTO: fonte Internet
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