1 novembre 2012

Il terremoto che unisce


E’ da un po’ di tempo che mi addormento sul divano. Da quando Cesira ha staccato la spina alla mia amata abat-jour sostituendola con una radiosveglia che solo lei riesce a far funzionare. Mi piace leggere prima di addormentarmi e per avere un po’ di luce soffusa ho ripiegato su una bella piantana di nove euro comprata all’Emmezeta che fa la sua bella figura all’angolo della cucina dietro il divano.

Mi ero addormentato sul divano la notte di venerdì 26 ottobre, questa volta ero riuscito a spegnere la televisione e la luce quando alle 01:05 la casa ha iniziato a tremare, dapprima un tremolio leggero poi sempre più forte tanto da farmi pensare: “questa volta è finita”, ma nei pochi secondi che scalzo percorrevo il corridoio, l’unico pensiero era raggiungere i miei figli che dormivano insieme a Cesira nella nostra camera da letto, erano passati forse cinque al massimo otto interminabili secondi quando aprii la stanza da letto per vedere se era tutto a posto. 

Tirai un sospiro di sollievo nel vedere che quei due angioletti dormivano ignari del pericolo che avevano corso. Il chiarore che entrava dai vetri della finestra mi restituivano il volto di Cesira attonito e spaventato, aveva le mani al petto, il cuore aveva accelerato i suoi battiti. Non c’era elettricità, forse solo nella mia casa pensai, ritornai a controllare l’interruttore generale, poi capii affacciandomi dal balcone che l’elettricità mancava in tutto il circondario e che non albeggiava affatto come in un primo momento avevo pensato, ma che era ancora notte fonda, una notte che veniva squarciata dal chiarore della luna.
Mentre con la lampada frontale verificavo se la struttura dell’abitazione aveva subito lesioni un gran via vai di persone scendevano lungo le scale apprestandosi a lasciare il condominio. Sentivo le macchine che partivano e le voci agitate che piano piano diminuivano sino a spegnersi nel silenzio e nel buio della notte. Mi vestii e tornai a guardare i volti dei miei figli, rimanemmo soli, mi feci coraggio dividendo la paura con Cesira che dopo un po’ arrivata l’elettricità tornò a dormire.
Ero abituato a vedere i terremotati alla televisione, mi sembravano anni luce distanti da me, ora che sono io un terremotato, un terremotato fortunato rispetto a chi non può tornare nella propria abitazione perché inagibile, mi rendo conto di come le distanze si azzerino quando si condividono le stesse angosce, lo stesso disagio e la stessa sofferenza. 
 
Guardo il volto dei miei figli, inconsapevoli, innocenti. Sono impotente, so come padre che contro tutto questo non posso nulla. Dai vetri della finestra il chiarore della luna squarcia le tenebre come fili sottili di ragno. La loro bianchissima pelle sembra soffice neve che sbuca dalle coperte. Non è il terremoto che uccide ma quello che ti cade addosso. Perché nella vita ci sono scosse che abbiamo affrontato ed altre ancora da sostenere. Ci sono terremoti che ti crollano addosso senza colpirti e da cui, molte volte, fai difficoltà a rialzarti. Ma questo terremoto, quello della terra che trema, porta lo stesso sentimento nel cuore e nell’animo di tutti, nell’attimo del tremolio del pavimento diventiamo tutti fratelli, tutti a dividerci uno spicchio della stessa paura, il vuoto attorno di una stanza. Perché il terremoto della terra che trema ci unisce, ci attacca tutti alla stessa vita. 
Questo terremoto ha messo a nudo l’arretratezza e la fragilità di paesi-presepe antichi e abbandonati, dove piani regolatori, piani di fabbricazione, piani dei sindaci e piani strutturali chiamateli come volete, non sono riusciti e non riusciranno, a preservare la bellezza e a tutelare la vita di chi vi abita, ma solo a rendere salate le parcelle agli amici degli amici, oleare il malaffare e la cattiva amministrazione. Piani che premiano le costruzioni ex-novo a discapito del recupero e del restauro, l’unica via possibile per il futuro dell’edilizia.
In questa mia amara terra è mancata in tutti questi anni la lungimiranza e la capacità culturale, unita ad una certa miopia amministrativa che ha ignorato il valore del preesistente non facendo nulla per prevenire le crepe ai nostri monumenti storici, architettonici e culturali, crepe create ancor prima dal terremoto dallo scorrere inesorabile del tempo. 

Doveva arrivare questo sisma per “trasformare” quest’area geografica in un unico spazio che porta, così come dovrebbe essere, lo stesso nome: Pollino. Il terremoto ha unito quello che gli uomini avevano diviso a causa del campanilismo e dell’individualismo che negli ultimi decenni ha caratterizzato il popolo del Pollino. 
No, non è il terremoto che uccide in questa terra dove le certezze sono crollate da tempo, ma l’indifferenza di chi vi vive che sa ma non vede.  E’ grazie al mio sudore, ai miei sacrifici, alle mie rinunce ed anche alla mia rabbia di calabrese oppresso ed emarginato dalla politica delle passerelle e degli annunci, delle promesse che non sono e non saranno mai mantenute che ai crolli continuo a far resistere i ricordi ed i miei progetti.
Ecco un’altra scossa, ti mangia la testa, senti la nausea come su una barca in balia del mare, ma il mare non c’è, c’è solo il vuoto di una stanza...ed io resisto, perchè questa è la mia terra...

FOTO: fonte Internet

Nessun commento:

Posta un commento