Il sentiero, abbastanza largo, parte dopo la fine di quella lingua di cemento che come un serpente si stacca dall’asfalto per finire contro un cancello dove un cane mi abbaia e poi smette. Mancavo da un po’ di tempo da San Paolo, all’inizio della strada ho trovato un cartello con la scritta: “divieto di caccia ai non autorizzati”. Ne troverò molti altri lungo il vallone. Ormai a Morano non c’è un metro quadrato di territorio dove puoi farti una passeggiata in pace.
Questo è il luogo che più si addice a sottolineare l’incapacità di saper conservare e valorizzare le tracce del passato che qui si erano ben conservate ed integrate nonostante il lento trascorrere del tempo, l’incuria e l’abbandono moderno. Durante recenti lavori di captazione di sorgenti a monte del Cappellazzo hanno raso al suolo una chiesetta bizantina dedicata a San Francesco da Paola e tratti consistenti di un lastricato risalente presumibilmente all’epoca romana. Tanto che da qui gli storici fanno passare la via romana che da Capua conduceva a Reggio, la famosa via Annia-Popilia. Oggi tracce del lastricato sono ben visibili molto più in alto a poco più di metà percorso all’interno del vallone.
Questo è il luogo che più si addice a sottolineare l’incapacità di saper conservare e valorizzare le tracce del passato che qui si erano ben conservate ed integrate nonostante il lento trascorrere del tempo, l’incuria e l’abbandono moderno. Durante recenti lavori di captazione di sorgenti a monte del Cappellazzo hanno raso al suolo una chiesetta bizantina dedicata a San Francesco da Paola e tratti consistenti di un lastricato risalente presumibilmente all’epoca romana. Tanto che da qui gli storici fanno passare la via romana che da Capua conduceva a Reggio, la famosa via Annia-Popilia. Oggi tracce del lastricato sono ben visibili molto più in alto a poco più di metà percorso all’interno del vallone.
Questo è il luogo delle grotte di San Paolo e chissà che il nome del Santo e le grotte non abbiano qualcosa in comune visto che San Paolo è invocato contro il morso dei serpenti ed essendo il posto abbastanza frequentato dalle vipere la tradizione vuole che il Santo sia sopravvissuto al veleno di un serpente nell'isola di Malta. Sbarcato nell'isola con gli altri naufraghi, sempre secondo la tradizione, Paolo fece sgorgare presso il mare una fontana per dissetare i compagni e dopo essersi asciugato al fuoco ed essere stato punto da una vipera, riparò in quella che si dice la Grotta di Rabat o la Grotta di San Paolo, dove soggiornò un certo periodo prima di ripartire per Roma.
Un pastore sopra la collina grida alle sue pecore con versi demoniaci strozzati e cavernosi, sembra quasi che gli stiano lacerando le interiora. I versi si fanno più insistenti forse non ce l’ha solo con le pecore ma vuole attrarre anche la mia attenzione. Avrà pensato: “chi sarà mai questo diavolo che percorre da solo queste lande dimenticate da Dio”.
Mi piace percorrere queste lande dimenticate da Dio perché qui c’è la storia e la puoi respirare, una storia di cui dovremmo andare fieri, una storia millenaria che oggi potrebbe essere trasformata in possibilità di lavoro, ma purtroppo se mi guardo attorno vedo solo macerie e oblio. Questa è la storia di un dio minore, la storia non firmata, quella che non si legge sui libri di scuola ma che possiamo osservare e scoprire a pochi metri da casa. Per me è la più importante perché è la mia storia, quella della mia gente, della mia terra. La vera cultura è il passaggio di memoria da una generazione all’altra, non è, come si potrebbe pensare, quella che si apprende a scuola. A noi manca un aggancio autentico con le persone e l’ambiente intorno, poiché non riusciamo più ad avere un progetto comune che possa far conoscere la storia umana della nostra terra. Purtroppo alcuni amministratori e molti professionisti pianificatori ed urbanisti pensano che lo sviluppo economico di un territorio passi attraverso il retino o campitura di colore diverso disegnato su una cartina. Professionisti il più delle volte nemmeno originari del territorio cui sono stati incaricati per elaborare scenari di sviluppo e che affideranno le loro pseudo-pianificazioni ai soliti giochetti clientelari e speculativi suggeriti dalla cattiva politica locale.
C’è un’aria calda e ferma in questo fondovalle che mi irrora il corpo tanto da aver bisogno di togliermi la giacca e stare a mezze maniche. Incredibile! Siamo a metà gennaio! Raggiungo gli imbocchi della Grotta di San Paolo. C’è silenzio, la luce del giorno mi passa tra le dita come squarci dentro antri cavernosi. Sono curioso di scoprire angoli nascosti e sconosciuti della mia terra, scorci diversi, angolazioni nuove dove ammirare il mistero in cui sono immerso ed ogni luogo della storia e della memoria per me è diventato un altare dove io prego. Questo è stato luogo di transito di genti, cavalieri, preti, santi, eserciti, guerrieri, luogo di fatica, imprecazione e pianto. Luogo di sacrificio, di stenti e anche di morte, luogo per me sacro.
La Vita a volte sembra sia una montagna che frana dove restare appesi. A volte resto appeso al nulla. Tutto frana attorno ed io cerco l’appiglio. Un appiglio dentro di me, negli occhi dei miei figli, nel loro sguardo ingenuo e curioso. Non cado per loro, non mi lascio andare, anzi, voglio continuare a salire.
La Vita per me è diventata un insieme di pietre da mettere le une sulle altre come le pietre di questo sentiero che le une sulle altre reggono insieme il peso del tempo ed anche la scarpata. Così le mie pietre le une sulle altre reggono me stesso e ciò che di buono sto costruendo giorno dopo giorno.
La Vita a volte sembra sia una montagna che frana dove restare appesi. A volte resto appeso al nulla. Tutto frana attorno ed io cerco l’appiglio. Un appiglio dentro di me, negli occhi dei miei figli, nel loro sguardo ingenuo e curioso. Non cado per loro, non mi lascio andare, anzi, voglio continuare a salire.
La Vita per me è diventata un insieme di pietre da mettere le une sulle altre come le pietre di questo sentiero che le une sulle altre reggono insieme il peso del tempo ed anche la scarpata. Così le mie pietre le une sulle altre reggono me stesso e ciò che di buono sto costruendo giorno dopo giorno.
Mentre salgo, dietro di me lascio la Valle del Coscile, circondata dalle montagne mi appare come il buco di una mela tagliata a metà quando al centro si asportano i semi. Mi colpisce come Monzone sia allineato perfettamente con la direttrice di questa valle, non a caso gli studiosi affermano che su Monzone ci fosse qualche postazione di avvistamento di epoca romana ed effettivamente qualche traccia di resti murari l’occhio esperto, sulla sommità del monte, la intuisce.
Passo dentro a rovi le cui spine trattengono pezzi e brandelli della mia carne, mi sovviene il pensiero che in alcuni giorni vivo perennemente dentro ad un rovo le cui spine mi lacerano, come se volessi consumare solo me stesso senza dare fastidio a nessuno.
In alcuni tratti la macchia mediterranea ha preso il sopravvento. Alte ginestre e contorti rovi rendono in alcuni punti un po’ difficoltoso il cammino. Bisogna prestare sempre molta attenzione per non trovarsi circondato all’interno di una fitta macchia mediterranea fatta di ginestre, rovi spinosi ed acuminati biancospini.
Questa valle accompagna il dedalo dei miei pensieri, un intrico di paure ed angosce, di rovi che trattengono pezzi della mia carne sanguinante, ferita. Questo vallone è una scatola, una scatola dove ripongo il mio cuore, è una carezza che mi viene dal vento e non dalle persone che amo.
Sono un viandante, un avventuriero dello spirito che compie ciclicamente la sua transumanza, sempre alla ricerca di me stesso ed è viandante il mio cuore sempre alla ricerca di un rifugio di fortuna, è viandante il mio sogno che mi ricorda di vivere.
Nella macchia il sentiero si perde, mi ritrovo chiuso di colpo tra gli arbusti, m’inghiotte la solitudine cercata, non perdo la calma, ritorno in me sui miei passi a ricercare la giusta via, scorgo rocce dalle forme particolari e non smetto di guardare in alto.
In alcuni tratti la macchia mediterranea ha preso il sopravvento. Alte ginestre e contorti rovi rendono in alcuni punti un po’ difficoltoso il cammino. Bisogna prestare sempre molta attenzione per non trovarsi circondato all’interno di una fitta macchia mediterranea fatta di ginestre, rovi spinosi ed acuminati biancospini.
Questa valle accompagna il dedalo dei miei pensieri, un intrico di paure ed angosce, di rovi che trattengono pezzi della mia carne sanguinante, ferita. Questo vallone è una scatola, una scatola dove ripongo il mio cuore, è una carezza che mi viene dal vento e non dalle persone che amo.
Sono un viandante, un avventuriero dello spirito che compie ciclicamente la sua transumanza, sempre alla ricerca di me stesso ed è viandante il mio cuore sempre alla ricerca di un rifugio di fortuna, è viandante il mio sogno che mi ricorda di vivere.
Nella macchia il sentiero si perde, mi ritrovo chiuso di colpo tra gli arbusti, m’inghiotte la solitudine cercata, non perdo la calma, ritorno in me sui miei passi a ricercare la giusta via, scorgo rocce dalle forme particolari e non smetto di guardare in alto.
Sopra la mia testa, sulla sinistra, il tratto della ex ferrovia calabro-lucana è un ardimento dell’ingegneria di inizio novecento che dovette confrontarsi con l’orografia difficile e tortuosa del territorio e che la dice lunga su come un tempo si facevano i lavori. Giungo nei pressi del viadotto dell’autostrada, precisamente sotto all’Ospedaletto e devo stare attento che qualche tondino di ferro affiorante dal suolo non mi si infili in qualche piede. Questo la dice lunga su come i lavori si realizzano oggi.
Il silenzio profondo, goduto poco dopo metà vallone, nei pressi del viadotto lascia il posto al rumore moderno delle auto che lo attraversano. Una breve ma erta salita mi porta alla Fonte dello Scannato. Sono attimi che si raccontano e mi raccontano di istanti eterni da conservare e vivere per sempre nel mio cuore. Questo bastarmi, questo cuore che vibra di istanti che si rivelano di un tempo che dentro di me non esiste mi fanno capire che dovunque ti trovi puoi vivere o soffrire, non importa quanto sei vicino o lontano da chi ti provoca sofferenza, la sofferenza è sempre e comunque sofferenza.
Sono sul Cappellazzo, da quassù chinato sulla cima della fatica bevo sorsi di cielo e piango di gioia, mi perdo in un orizzonte che sembra un panno di cotone trafitto in lontananza dalle alture, forse aveva ragione Marcel Proust: “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
2 commenti:
Ineressante come accosti le fatiche di una ascensione alle difficoltà della vita.In alcuni passaggi mi sembra di leggere M.Corona.Comunque complimenti per i tuoi racconti e la tua attività.
Un abbraccio
Grazie Giuseppe della tua visita e delle tue belle parole! Un grosso abbraccio e spero di rivederti presto.
Nuwanda
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