19 ottobre 2018

Caro "zu Peppu" ti scrivo...


Caro “zu Peppu”,
sono passati 25 anni da quando hai smesso di respirare, eri custode di mille segreti pronto a svelarli a chi sapeva ascoltare. 
Sei bruciato quella maledetta notte, tra il 19 e 20 ottobre del 1993, non per colpa della Natura che non conosce il male, ma per colpa di uomini vigliacchi e senza scrupoli. Quella notte con te sono bruciati secoli e secoli di storia della comunità del Pollino. Chi commise quel vile gesto è rimasto purtroppo anonimo ed impunito ma erano sicuramente figli infedeli di questa terra, una tragedia che ha lasciato ancor di più l’amaro in bocca!
Ricordo vividamente quel 14 novembre del 1993 quando, non ancora diciottenne, venni a salutare le tue spoglie annerite e ancora quasi fumanti e piantammo simbolicamente un tuo piccolo fratello, insieme ad associazioni e gruppi del territorio! 
Ti sacrificarono contro la nascita di un Parco Nazionale  caro “zu Peppu”, le tue ossa ancora oggi, spolpate e annerite, paiono morte invano. Dopo venticinque anni questo Parco ancora non convince, non unisce e non soddisfa!
Diciamoci la verità, a parte qualche rara eccezione, di turismo nel Parco non si riesce a vivere. Chi sopravvive di turismo lo fa accorpandolo ad un altro lavoro o come dopo lavoro, perché, vive di turismo chi ha già un posto fisso o uno stipendio garantito che dà sicurezza economica per non andare a cercarla altrove. 
Io non voglio più sopravvivere erodendo a poco a poco la mia provvista di speranza, restando senza diritti e senza futuro. Ho deciso di ripartire da zero, rifarmi una vita altrove. Perché prima di tutto, caro “zu Peppu”  viene la famiglia.  Perché voglio viverla la Vita, caro vecchio mio, e non più subirla. Certo mi mancheranno e solo tu sai quanto, gli odori, i profumi, i sapori, i suoni, le voci e i colori del Pollino! E la nostalgia, già lo so, aleggerà come un abbraccio ed una carezza mancata.
Tutto questo affligge i tuoi poveri resti, lo so. Tu l’hai sempre saputo che in questi anni mi sono sentito un combattente in trincea e che adesso non mi accuserai di diserzione. La mia non è più una scelta ma un obbligo perché tutto passa dal lavoro e dalla realizzazione di sé! A malincuore amico mio, a malincuore non c’è più spazio per scegliere. Andare via è un obbligo! Devo farlo. Ho deciso di ricominciare. 
Non penso di aver fallito. Ci ho provato! Il fallimento non esiste, esistono i tentativi. Il fallimento vero è non provare a fare nulla! Ho tentato. Non ho nessun rimpianto!
Certo non sarà facile, ogni ambiente porrà problemi nuovi e diversi, però lasciami dire che non sono più disposto a questo “gioco al ribasso” ma preferisco rendermi utile ed essere gratificato altrove, almeno lo spero!
Interi territori si svuotano in silenzio! E se ci fosse un disegno in tutto questo? Già vedo l’implacabile assedio di ruspe e motoseghe. Chiudono negozi, uffici postali, sedi bancarie. Sopraffatti ed accecati da questa finta connessione artificiale che ha ridotto le distanze ma che ha fatto venire meno il senso di appartenenza al territorio, ci siamo dimenticati dell’educazione ambientale e dell’ecologia, ci tagliano i servizi e l’assistenza sanitaria, le strade con le cunette intasate sono sempre più anguste e mal messe, al limite della praticabilità. Aumenta il dissesto idrogeologico e l’emigrazione! Vogliono svuotare i territori di montagna per appropriarsene con losche speculazioni e turpi interessi! Amico mio tu sei morto per questo non lo dimenticare! 
Sicuramente il Parco non è stato capito, dopo venticinque anni mi sembra ancora troppo lontano dalla gente. Il Parco non ha saputo creare coinvolgimento e consapevolezza nelle popolazioni e poi un’estensione troppo vasta e lottizzata dalla politica porta ad una cattiva convivenza e a forti complicazioni in termini di risorse e controlli!
E comunque la colpa se le cose non vanno è anche la nostra, degli uomini dico! Il nostro territorio, con le dovute eccezioni certo, è immobilizzato dall’invidia, dalla scarsa imprenditorialità, dalle diffidenze e dall’incapacità di lavorare insieme.
Bisognerebbe avere il coraggio di pensare ad un progetto forte e di lungo termine, un progetto che abbia forza e carisma per essere condiviso. Il volontariato e il clientelismo non mandano avanti una comunità. Occorrono professionalità in ogni settore. Per alcuni settori serve forse più lo studio, per altri l’esperienza. In ogni caso non ci si può improvvisare in nulla. “Scanniamoci” all’interno ma offriamo un’immagine del territorio compatta, unita, consapevole delle proprie risorse e determinata a farne tesoro, per noi e i nostri ospiti. 
Ormai tutto si mescola ed ogni cosa si confonde. Vecchio e nuovo, indigeno e forestiero, montanaro e cittadino, autentico e falso, il mondo al tempo di internet è piccolo come una scatola di cioccolatini, pare che in pochi, oggi, siano condannati a vivere dove vengono al mondo.
Caro “zu Peppu” cercherò anche altrove la lentezza, l’immaterialità, il silenzio, i ritmi naturali continuando ad insegnare ai miei figli i valori dell’antica forgia della lealtà, del merito, del coraggio di sognare e fare, da contrapporre alla civiltà utilitaristica, individualistica, condannata allo spreco.
Caro “zu Peppu” un ultimo pensiero lo voglio dedicare alle vittime del Raganello con la speranza di non essere morte invano. Alla bella e orgogliosa comunità di Civita che adesso appare sfregiata come un quadro di Leonardo. 
Non voglio entrare nel merito di quello che è accaduto, saranno le indagini a chiarire le responsabilità.
Una cosa però la voglio dire. Il Raganello negli ultimi anni era diventato una sregolata movida di città e non certo un luogo da apprezzare con rispetto e da percorrere in silenzio. Tra l’altro appare incredibile che le sagre di paese debbano confrontarsi con i piani di sicurezza del Ministero dell’Interno e invece su un luogo di montagna, all’interno di un Parco Nazionale, può accadere qualsiasi cosa. Mancavano solo tende da campeggio e barbecue a cielo aperto per il resto il greto del torrente era stato scambiato per una spiaggia: ombrelloni, gente in costume, sedie sdraio, asciugamani stesi e cocomeri in acqua!
All’interno delle gole schiamazzi ed anarchia assoluta, uno splendido ambiente ridotto ad una movida esagerata senza controllo. Le gole del Raganello sono diventate un luogo di consumo, di divertimento chiassoso, di ebrezza edonistica per andare a caccia del selfie “selvaggio” o del video che soddisfi la vanità digitale di ognuno di noi!
Serve prendere coscienza che l’educazione ed il decoro valgono per il Colosseo come per chi frequenta la montagna ed i suoi ambienti, per cui serve autorevolezza, divieti, regole e sanzioni in modo da uscire dall’amore platonico e teorico della salvaguardia della Natura ed imboccare la direzione di un rispetto più vero e più sincero verso la sacralità della roccia e del silenzio e più in generale della Montagna. Certo, il turista porta valuta pregiata per l’economia locale, guai ad infastidirlo! Credo però che una località, turistica o meno, che faccia rispettare le regole, perde il peggio dei visitatori nell’immediato ma ne acquisisce il meglio nel medio termine, dando una meravigliosa prova di civiltà.
Mi fermo qui perché bisogna essere modesti quando parliamo della Montagna e della Natura se vogliamo trarne, dalle nostre considerazioni, qualche insegnamento.
Caro “zu Peppu” questo territorio si potrà salvare se ognuno guarderà dentro se stesso e si tornerà ad una coscienza collettiva, quella dei nostri anziani che sapevano dialogare con la Natura e stabilire delle relazioni equilibrate con l’ambiente. 
I più attenti sanno che un Parco non vuol dire niente se resta una scatola vuota, mentre potrebbe diventare un luogo straordinario se raccontasse al mondo gli incanti del dio Apollo, i suoi passati storici, la meraviglia di un monte che sorveglia la pianura verso lo Ionio come un dio pagano.  
Io me ne vado, caro “zu Peppu”, tu aspettami. Sai che ti porterò con me sul petto anche fisicamente col ciondolo che mi sono fatto a mano e che mi porto al collo!
Il mio Cuore batte tranquillo, grato e contento. Cancello molti dolori e levo via molti pesi. Rende più forti e liberi. Insegna a prendere le cose così come devono venire.
Eduardo Bennato in una sua canzone cantava: “Venderò la mia sconfitta a chi vuole sentirsi forte…ogni cosa ha il suo prezzo ma nessuno saprà mai quanto costa la mia Libertà”.
A presto amico mio, a presto!

2 commenti:

Unknown ha detto...

Scritto col cuore. Un abbraccio e un augurio Roby.

Roberto Angelo Motta ha detto...

Grazie di Cuore!

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