La Grotta e il Riparo del Romito costituiscono uno
dei più importanti siti paleolitici dell’Europa.
La loro rilevanza, nell’ambito delle documentazioni
preistoriche, è legata all’imponenza della stratigrafia, messa in luce in
questi anni, alla ricchezza delle evidenze archeologiche che sia la Grotta sia
il Riapro restituiscono ed alle forti potenzialità di informazioni per la
ricostruzione dell’ambiente e delle attività delle comunità che abitarono il
sito alla fine del paleolitico e nel neolitico.
La Grotta e il Riparo appaiono oggi, come due
ambienti quasi distinti: un accesso piuttosto angusto immette nell’oscuro
spazio all’interno della grotta, impreziosito da stalattiti e stalagmiti.
Sia la Grotta che il Riparo sono state oggetto di
sistematiche ricerche e scavi da parte dell’Università di Firenze fin dal 1961,
anno in cui la Grotta venne scoperta.
La prima cosa che venne alla luce fu la splendida
figura di bovide (Bos Primigenius),
probabilmente un Uro oggi estinto, che si conserva nel Riparo, definita dal
prof. Paolo Graziosi: “la più maestosa e felice espressione del verismo
paleolitico mediterraneo”.
Tale ritrovamento ci fa capire che il suo esclusivo
frequentatore è ormai l’uomo moderno, colui il quale è definitivamente andato
al di là delle esigenze puramente materiali della vita e che ha attinto livelli
superiori: nel pensiero, nel sentimento, nell’arte. La figura del bovide graffita sul masso posto
all’ingresso della grotta può essere nata da esigenze legate alla caccia, ma in
essa operano prepotentemente anche il sentimento religioso e l’empito
dell’arte.
La fantasia corre al bue che domina il paesaggio e
all’uomo che lo cattura, dopo averlo imprigionato nella roccia, imprigionandone
lo spirito col simbolo e con la magia. Immaginiamo la sua carne, ridotta in
porzioni, consumata non solo a scopo alimentare ma per assimilarne l’anima, la virtus. Il masso è luogo di culto,
altare davanti al quale sostare o rivolgere lo sguardo per propiziare la buona
riuscita delle fatiche venatorie. Il bue non è solo vittima o preda, ma diventa
divinità che rende sacri i prati e i boschi dove vive, forse anche totem.
Vicino al graffito sono state rinvenute due coppie
di scheletri ed altre sepolture singole sono state ritrovate all’interno.
L’ultima è stata riportata alla luce nel 2010. Si tratta di un giovane
cacciatore di circa 17.000 anni fa.
Su alcuni scheletri sono stati rinvenuti frammenti
di corno di bue ed i corpi erano circondati da una serie di manufatti di selce.
Un altro scheletro è stato rinvenuto con una scheggia di selce appuntita nella
mano e nella regione cardiaca.
I frammenti di corno di bue (il corno è simbolo di
forza) sul corpo hanno lo scopo di assicurare forza nell’aldilà. I manufatti
litici sparsi attorno al corpo possono avere avuto la funzione di proteggere
l’anima del defunto e nello stesso tempo di impedirne il ritorno tra i vivi.
Dalle ultime campagne di scavi sono emersi nuovi
dati che hanno permesso di acquisire inedite e importanti notizie su un periodo
compreso tra 10.000-8.000 anni fa, ovvero la fase del Mesolitico.
La Grotta del Romito, oltre all’importante
manifestazione artistica del Bos
Primigenius è un valido giacimento preistorico di informazioni per la
ricostruzione dei modi di vita delle comunità di cacciatori paleolitici che
vivevano nell’area del Pollino, inoltre anche per la ricostruzione delle
trasformazioni climatiche e ambientali della zona attraverso i millenni, da
23.000 a 6.000 anni fa.
Nei pressi della Grotta è ubicato un Antiquarium, nel quale sono ricostruite
le varie fasi di scavo e dove è esposta anche una ricostruzione fisiognomica di
un uomo paleolitico.
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