Il cielo è aperto, dal basso della collina la struttura architettonica del monastero si fonde perfettamente con l’ambiente circostante esaltando il misticismo di questo luogo. Sono trascorsi quasi cinque secoli ma per il viandante che lo osserva dal basso il Monastero Agostiniano di Santa Maria del Colloreto rappresenta un prezioso scrigno di memorie centenarie abbarbicate.
Su tutto spicca la bella torre campanaria circolare, dal profilo netto e forte, sembra l’albero maestro di una grossa nave che galleggiando sulla collina pare infrangersi sui “faraglioni” delle montagne circostanti.
Il Convento fu costruito nel 1546 dal Beato Bernardo da Rogliano (al secolo Leonardo Milizia), forse sui ruderi di un edificio più antico. Fra Bernardo era nato a Rogliano il 1519 e morì nel 1602 in Colloreto, ove fu sepolto. Eremita e fondatore della congregazione di Colloreto si diede a vita eremitica nel 1541, quindi, divenuto sacerdote nel 1544, si stabilì a Colloreto tra Morano ed il Pollino, dove diede vita al grande Convento della congregazione di cui ne dettò la regola.
Il Convento fu costruito nel 1546 dal Beato Bernardo da Rogliano (al secolo Leonardo Milizia), forse sui ruderi di un edificio più antico. Fra Bernardo era nato a Rogliano il 1519 e morì nel 1602 in Colloreto, ove fu sepolto. Eremita e fondatore della congregazione di Colloreto si diede a vita eremitica nel 1541, quindi, divenuto sacerdote nel 1544, si stabilì a Colloreto tra Morano ed il Pollino, dove diede vita al grande Convento della congregazione di cui ne dettò la regola.
Man mano che ci avviciniamo alle pendici della collina, dove è posto il Convento, si nota subito che qualcosa non va. Il vecchio sentiero che conduceva al romitorio sta franando sulla galleria realizzata durante i recenti lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 SA-RC, lasciando alti dirupi e grosse voragini sulla copertura sottostante della galleria che praticamente risulta “spoglia” delle normali opere di mitigazione ambientale, anche i ferri d’armatura fuoriescono a valle dalla copertura e non si innestano sulla paratia frontale, saranno nuove tecniche ingegneristiche di cui non riesco a comprenderne il senso, a me sa tanto che qui dopo il taglio del nastro, la benedizione, il premio, tutti siano “scappati di notte” lasciando noi, poveri moderni viandanti, a trovare un nuovo sentiero per salire le pendici e godere ancora per non molto della nostra memoria e della vera arte delle costruzioni.
Il Convento di Colloreto fu realizzato dopo sei anni, per le Piramidi ce ne vollero mediamente 20, la muraglia cinese fu completata in 10 anni, l’autostrada Salerno-Reggio Calabria fu iniziata nel 1962 e dopo 52 anni i lavori continuano e pare che non siano destinati ad essere completati. Un’opera pubblica quella della SA-RC che doveva rappresentare il simbolo della rinascita e del fare ed invece è diventata l’incarnazione netta del fallimento dello Stato Italiano e per gli amministratori locali frutto marcio da raccogliere per alimentare il mercato dei voti in cambio di lavoro.
Eppure è facile ricordare i tagliatori di nastri, tutti in bella mostra sulle foto dei giornali, sotto i riflettori di fotografi e tv, tutti in prima fila: sindaci, assessori, presidenti, responsabili, direttori, comandanti, ministri, deputati, senatori, supervisori, volontari, monaci, parroci, vescovi, presenziano e benedicono infrastrutture ordinarie come se fossero miracoli, poco importa se l’opera è incompleta, se ha già subito una o più inaugurazioni precedenti, si inaugura di tutto: il possibile e l’impossibile. Una scuola, un ospedale, un giardino, sempre lì, pronti a tagliare nastri, a fare discorsi a celebrare se stessi, a mettersi in mostra per la foto quasi a farci credere che i soldi per fare l’opera se li sono cavati dalle loro tasche. Loro sempre in prima fila da protagonisti, i cittadini dietro le quinte relegati in fondo e non possono prendere nemmeno la parola per dire se l’opera ed i lavori realizzati sono di loro gradimento.
Mi lascio alle spalle il rombo dei veicoli che sfrecciano sull’autostrada sottostante, attraverso ruscelli, sorgenti, massi ricoperti di muschio, attraverso coltri di foglie rosse secche dal tempo poi di ruggine e giallo più acceso che si susseguono senza fine, la via ed il passaggio, ometti di pietra, valloni profondi ed impenetrabili, il sole filtra tra i rami, il sentiero è scavato nella roccia, ascolto i fruscii del sottobosco, dal vuoto all’impronta, sensazioni nette, granelli di ghiaccio nell’oscillazione del peso e dello sforzo, cammino nelle voci del silenzio per ritrovare l’anima smarrita dei miei simili.
Un giorno viandante, nemmeno tanto lontano, tra gli ultimi tronchi di ulivi e faggi secolari ti troverai a passare tra le ossa frantumate della nostra memoria. Quel giorno, viandante, tra le ultime ginestre e leccete l’uomo avrà conosciuto il prezzo di tutto e il valore di niente, solo se saprai tendere l’orecchio alle Pietre frantumate dal tempo potrai sentire sussurrati i suoni dei luoghi della nostra infanzia e nel loro profumo gli odori dei ricordi e dei sogni forse infranti.
In queste Pietre senza nome potrai sentire il respiro antico di tutte le cose nate prima di noi, gli umori più profondi della mia terra, il gorgoglio delle vene d’acqua che mormorano frenesie carsiche, l’ombra della fiamma baluginante in una grotta, la nostra prima casa. In queste Pietre, viandante, vi ritroverai i segreti della vita contadina e del tuo destino montanaro, le cose delle nostre case come creature vive in mezzo a noi e prima ancora in mezzo ai nostri padri, queste Pietre non saranno reperti di archeologia ma pezzi di Vita vissuta, gli ultimi ponti con il nostro passato testimoni di un amore puro ed incorrotto.
Non tradire mai le tue origini, né con l’infedeltà né con l’indifferenza, onora con orgoglio la tua terra ed il tuo paese conoscendone la storia perché solo così l’amore si fa più ricco e profondo. Chi è consapevole di avere un grande bene sotto la curva del suo cielo e nell’abbraccio delle sue montagne ha più rispetto per il suo paese e salda meglio il conto con la propria esistenza.
Onora queste Pietre, viandante, perché sotto queste Pietre noi giacciamo.
2 commenti:
Parole vere amico mio,se solo si riuscisse a capire che basta un pizzico di semplicita'per essere felici.
C’è bisogno di tornare a vivere la semplicità, perché contrariamente al pensiero di molti la semplicità non è ignoranza, non è essere scontati, non è avere poco o essere superficiali. La semplicità vera è la purezza, la gioia di vivere, la grandezza d’animo e anche la capacità di capire che non siamo immortali e forse, in fondo in fondo, è anche chiedere aiuto quando ci rendiamo conto che da soli non possiamo farcela. La semplicità è accorgersi della bellezza dei piccoli gesti, accontentarsi e dire grazie. E allora Grazie Amico mio di esserti soffermato per un momento tra queste pagine.
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