10 marzo 2015

Campotenese-Morano Calabro: l'ultima fermata



Un tempo il nostro territorio esisteva e la gente nella povertà sapeva coglierne il meglio. Un tempo il treno era l’unico mezzo di trasporto “veloce” nelle zone interne dei nostri territori in quanto la linea ferroviaria consentiva un vantaggio notevole rispetto alla velocità a piedi o a cavallo, i binari rappresentavano anche un senso di unione per rendere più superabile la cerniera di pietra tra la Lucania e la Calabria, cerniera fatta anche di boschi, di neve, ma anche di sogni e realtà che toglievano dall’isolamento le popolazioni dei piccoli centri e rendevano più agevoli gli scambi commerciali specie d’inverno quando i trasporti su gomma, soprattutto nei valichi e a Campotenese, diventavano estremamente difficili.
Il trasporto passeggeri lungo la tratta ferroviaria Castrovillari-Lagonegro non ebbe mai una grande domanda, il calo consistente si ebbe con il boom economico degli anni sessanta e a differenza del trasporto merci, fatto principalmente di legname e prodotti agricoli, che si mantenne consistente fino alla sua dismissione, anche grazie al costo ridotto della manodopera, fatto questo che non risultò determinante per la sua chiusura in più la costruzione dell’autostrada SA-RC contribuì a dare il colpo di grazia alla sua conclusione. 

Col senno di poi l’abbandono e la dismissione della ferrovia calabro-lucana fu certamente un errore, ci vollero molti anni per costruirla e solo due anni per disfarsene a causa di una politica scellerata e a “politicanti” che coltivavano altrettanti scellerati interessi di bottega. 

Certo è che oggi l’abbandono di questa tratta ferroviaria, oltre al grandissimo valore ingegneristico di quest’opera che ricordiamo è fatta di gallerie elicoidali, ponti ad arcate in muratura, tratti a cremagliera e viadotti arditi, costruiti in un’epoca in cui la forza era affidata solo alle braccia umane, lascia l’amaro in bocca se si pensa che adesso avrebbe potuto collegare i borghi meravigliosi del Pollino attraversando il Parco Nazionale omonimo e collegarlo addirittura a quello della Val d’Agri–Lagonegrese.
Per onore di cronaca nel 1980 a Morano ci fu un cenno di attenzione verso una ferrovia già subito dimenticata ed erano trascorsi solo due anni dalla sua chiusura, ma a tale interessamento di alcuni amministratori locali non fece seguito la giusta attenzione della classe dirigente nazionale.
Percorrere le serpentine ardite della tratta Morano-Campotenese ed i suoi luoghi in disuso rivelano meglio il passato di ogni altra opera costruita dall’uomo nel mio territorio, spiegandone in modo migliore questo nostro presente fatto da una politica di annunci e promesse da marinai. 
Tuttavia qualcosa  lentamente si muove, la tratta Morano-Castrovillari è interessata da lavori di riqualificazione e valorizzazione del tracciato tramite la realizzazione di un percorso “verde” ciclabile. Restano comunque azioni isolate che rimangono fuori da un certo tipo di sistema turistico che nel nostro territorio va creato, mi riferisco a quello dell’arco-calabro del Pollino, in particolare alla Valle del Coscile. Un territorio autentico, quello della Valle del Coscile, dalle grandi potenzialità storiche-culturali-paesaggistiche che non riesce a generare modelli di vacanza e favorire competizione ed innovazione rispetto alle classiche località turistiche balneari e non solo, poste a pochi chilometri rispetto alla nostra zona.

L’ex tratto ferroviario Campotenese – Morano, rispetto ad altre percorrenze della stessa linea, resiste ancora e non cede al passare del tempo. Percorrerlo regala scorci nascosti, nuove linee che si intersecano su panorami che tracciano confini a volte indefiniti. Altre volte, ahimè, lo stato di degrado prende il sopravvento, sono i caselli abbandonati che un tempo conservavano i profumi che sapevano di umano, un vissuto adesso ormai scomparso sopraffatto dall’odore acre della muffa e dalla violenza di vandali ignoranti che a volte distruggono più del trascorrere del tempo. Guardo il forno dove venivano infornati i tanti pani per affrontare il lungo inverno come a determinare una sorta di memoria di vivere lento e che mi riporta ad una dimensione di un lento viaggiare questo mio andare che continua sul fondo sassoso non sempre agevole, ma è capace, però, di farmi assaporare nei sensi il territorio ed il paesaggio che percorro. 
Poi le gallerie con il loro buio di pece e la luce della mia lampada che lo squarcia, il rumore dei miei passi amplificati dentro quelle pance nere ed in fondo la luce del giorno che lentamente arriva, non prima di aver sentito l’odore del carbone portato dal vento e udito le gocce che dalla volta si infrangono sui miei pensieri creando un dolce picchiettio che non mi abbandona più lungo tutto il passaggio.
E’ una porta dimensionale la galleria, un mezzo con il quale ci si trasferisce da una prospettiva ad un’altra, un momento di passaggio, un tempo ed un racconto da vivere e da visitare, poi nuovi scorci che si intersecano senza darsi fastidio, tu sempre lento come in una sorta di culla al ritmo dell’antica ferrovia. 
Questo essere qui, oggi, per tutti noi rappresenta in un certo senso anche un recupero, un ritrovamento. Un recupero che tende a mantenere viva la memoria storica di luoghi e toponimi, un ritrovamento di vedute e paesaggi prima dimenticati.
Siamo qui oggi per cercare di unire e collegare idealmente quello che un tempo è stato spezzato, in uno dei lembi più interessanti del Mediterraneo troppo presto abbandonato e forse volutamente dimenticato. 

Alcune foto provengono da internet, fonte: Banca della Memoria – Morano Calabro

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